Insigne, i fantasmi della crisi
e il rigore rabbioso all'ultimo respiro

Insigne, i fantasmi della crisi e il rigore rabbioso all'ultimo respiro
di Marco Ciriello
Lunedì 6 Maggio 2019, 07:00
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In settimana era andato a palleggiare nei vicoli con i ragazzini, per riprendersi lo spirito della pallastrada, in una risalita sentimentale, non gradoni che pure ha fatto con Zeman ma scalini d'affetto. Poi Carlo Ancelotti l'ha messo tra i titolari, da qualche parte nel mondo Mino Raiola ha ricevuto un messaggio che se non era d'amore ci andava vicino. Dopo un summit, è ricominciata l'operazione Insigne, riaccreditarsi come speranza, rimettersi al centro del progetto, o tendere verso quell'idea. E allora il capitano del Napoli era andato alla ricerca di un vantaggio strategico, prima del campo, prima della partita, raccogliendo i cocci di brutte prestazioni, brutti musi, e facce da dimenticare.
 
Tutto era cominciato con un calcio di rigore, quello contro la Juventus, che non era andato in porta, che aveva trovato un palo prima del portiere Szczesny. Poi un passo dietro l'altro, il pallone non restava attaccato al piede, e soprattutto non entrava in porta o se ci entrava non era come voleva Insigne. Così tra una partita e l'altra è cominciato un fantamercato, sono cominciati calcoli, cifre, squadre, città, persino maglie, un giro di affari e colonne, immaginazione e complicità senza appoggi, inciampi del pensiero che però avanzavano e pesavano, avanzavano e toccavano, lasciando Insigne nel pozzo della sua cupezza infantile. Una piega involutiva che era più di una distrazione, poi si era fatto risentimento, panchina, tribuna, casa, e ritorno, via andare, un flipper, e senza pallone, solo opinioni, giudizi, e molte critiche, alcune giustificate, altre no. Un periodo intenso che è diventato un campo vuoto, una assenza fatta di sforzi a metà, e rinunce, e spalle piegate, e parole sbagliate di suo padre. Sembra avere sulla testa la nuvoletta di Fantozzi, poi è arrivato Raiola, il suo procuratore a toglierla, come faceva con Ibrahimovic, a spiegargli priorità e funzioni, e soprattutto come si sta al mondo e in una squadra. E allora il nuovo vecchio Insigne ha ripreso a palleggiare, ma non sul campo, ma con dei bambini, ha riacceso una luce sul passato, scacciando le ombre del presente, si è rimesso a ridere con un pallone, che non era cosa da poco per chi lo aveva visto uscire dal campo, o peggio anche dopo, smorfie all'acquapazza, da porteci stendere un manuale in materia, una pignoleria d'arrabbiature spesso inutili fino al corto circuito, fino al riazzeramento e alla ripartenza raiolesca. Condannare l'istinto e riprendersi il ruolo, di dribblomaniaco e suggeritore, finta a destra e poi ritorno e ancora a destra e tiro a giro: troppo alto: ritentare; e quindi pazienza, doppio passo, infilata tra due difensori del Cagliari, un terzo evitato come paletto, e poi ancora niente, fermato: ritentare; e quindi accentrandosi, poi no, poi di nuovo sì, fascia centro, finta, niente rientro e tiro, nulla: ritentare; e riprendi a correre, mettici un tacco e una apertura, uno scambio con Ghoulam, e prova ad entrare in area, ma ancora una volta, niente: ritentare; e giù così tutto il tempo mentre vedi Alessio Cragno prendere palloni che aveva già il pezzo di rete da centrare, guardando il Cagliari segnare e con Pavoletti poi, rabbia accumulata, c'è tempo per litigare anche con lui, non tutto è ancora al suo posto, e quello che cade sono rivoli di incazzatura, pezzi del veleno accumulato, stando in disparte, o anche in mezzo, ma senza essere decisivo, perdendosi prima dentro di sé e poi nelle aree, urla e un disastro incombente, perderla in casa, proprio mentre tutto sembrava tornare al suo posto, proprio mentre tutto pareva rimettersi nel verso giusto, anche certi dribbling che tornavano, anche certi tagli che riprendevano dritti ad aprire occasioni, e invece nulla, lacrime nella pioggia, diceva il referto analitico. Serviva uno spessore diverso, quello smarrito, toccava ricucirsi addosso forza prima ancora che responsabilità, almeno un abbozzo dell'essere stato, un tocco dell'aver avuto, e inciso e soprattutto segnato, eh già, figurarsi con un Cragno così. Ma poi lo vince Mertens, e di testa, una seconda volta, si alza prima e più di tutti, e segna. Un pareggio cercato, che si può anche superare, dopo un gol, se ne può anche cercare un altro, quanto manca? Che importa, via andare, ricominciare, rimettersi in fila, un piede dietro l'altro, una finta dietro l'altra, un tentativo dietro l'altro, fino a quando su un tentativo Artur Ionita non ci mette le mani, oltre il recupero, oltre anche le aspettative di Insigne e dei pochi che gli stanno intorno al San Paolo sotto una malacqua' che pesa sulle teste di tutti, ma l'arbitro Chiffi decide di andare a vedere il replay di quelle mani che sembrano sì staccate dal corpo, ma di un corpo che oscilla su una linea, in pratica riassumono l'animo di Lorenzo Insigne, una precarietà da trapezista, in bilico tra una partita storta e l'altra, tra un recupero in apnea e una risalita a mani nude. Fiato sospeso, poi rigore. È il novantottesimo e tira Lorenzo Insigne. In porta c'è Cragno che le prende tutte, meno due.
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