«Le mie notti a spiare Maradona
tra hotel, donne e partite in strada»

«Le mie notti a spiare Maradona tra hotel, donne e partite in strada»
di Pino Taormina
Sabato 9 Marzo 2019, 08:30
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«Sono stato per un anno e mezzo il suo migliore amico, forse l'unico suo vero amico. Una specie di angelo custode. Ma non ci siamo mai conosciuti, per lui sono un fantasma». Diego Armando Maradona ha sempre e soltanto sospettato di essere spiato e pedinato durante le sue notti proibite a Napoli. Ma non ne aveva la certezza. Da oggi conosce anche il nome dello 007, di colui che per 18 mesi lo ha seguito e inseguito tra alcove, discoteche, locali equivoci e alberghi: è Antonino Restino, investigatore privato alla guida della holding Gruppo Az Investigation, l'agenzia più importante del settore in Italia. Ha confidato nel libro «La Spia de Dios», edito da Rogiosi e scritto da Elisabetta Masso e Carla Reschia, quelle interminabili giornate con il fiato in gola sulla tracce del campione più amato di tutti i tempi, per snidare le sue bravate e i suoi eccessi. Che erano sulla bocca di tutti e che lui raccoglieva puntualmente in dossier che ogni settimana consegnava all'hotel Majestic. Chissà Maradona quanto resterà sorpreso nel sapere che le sue notti brave e le sue albe chiare sono state fotografate e riprese per mesi e mesi. Ma anche nel conoscere i nomi dei mandanti dell'attività di spionaggio: Corrado Ferlaino e Luciano Moggi. «Furono loro a conferirmi l'incarico nell'ambito di quello che era il loro diritto alla difesa della proprietà e del patrimonio aziendale. Erano preoccupati delle voci insistenti sul suo conto, della sua vita sregolata poco idonea per un atleta. Ma per Maradona solo Maradona avrebbe potuto fare qualcosa, salvarlo dai suoi vizi».
 
«Il 24 gennaio del 1988 mi vedo con Giorgio Curti (direttore finanziario del club, ndr) e il direttore generale Luciano Moggi - racconta Restino - Il vero interesse della società era controllare Maradona, seguirlo nella sfera privata che, negli ultimi tempi, non era più in linea con le regole imposte dall'allenatore e con lo stile di vita che un atleta professionista deve rispettare. E in più sul campione giravano brutte voci, sempre più inquietanti. Sempre più preoccupanti e incontrollabili. Pare, sembra, dicono, raccontano. Moggi non si sbilanciava, andava con i piedi di piombo, usava sempre il condizionale». Pochi giorni e il detective fa le prime scoperte: «L'hotel Paradiso era la sua meta preferita, di solito arrivava nel tardo pomeriggio in via Catullo, per tornarsene a casa solo alle prime ore del mattino. Una volta, durante un appostamento, mi allontanai: e trovai Maradona che ci provava con la mia collega di lavoro, con la mia spalla. Era incredibile». Donne, tante. Ognuna catalogata con nome e indirizzo. «Cosa faceva in quelle mura della stanza 415? Io posso parlare delle donne e degli uomini che entravano, di certo non so cosa portavano». Dubbi, tanti. Restino racconta ancora: «Guillermo Coppola, il suo manager e grande amico di quegli anni è rimasto per me un oggetto misterioso. Accusato in seguito dal campione di averlo derubato fino all'ultimo soldo, a noi appariva di una fedeltà canina. Lo seguiva ovunque, lo serviva in tutto, si prestava a ogni sua minima richiesta ed esigenza. Più che un manager era qualcosa a metà fra un compagno di avventure e un servitore. Per pedinare Coppola che andava in farmacia contromano stavo pure per morire». Per una notte con Maradona, le donne erano disposte a tutto. «Ho visto donne fare un passo alla volta: farsi presentare all'amico dell'amico, poi a qualcuno più vicino fino ad arrivare a lui, al re». Dice ancora: «Per un lungo periodo in via Capece, proprio sotto casa sua, si aggirarono due ragazze, vestite, o per meglio dire svestite in modo molto vistoso, che passeggiavano avanti e indietro per ore. Finché un giorno la moglie di Maradona, Claudia Villafane, scese e le prese a male parole, minacciandole di passare alle mani se le avesse viste ancora lì attorno».

«Ci prendevamo un caffè, poi consegnavo la busta, Moggi l'apriva, leggeva voracemente e iniziava a tempestarmi di domande. Venerdì? Ma ha cambiato orario! Perché ha fatto un altro percorso? Ma erano le 4 del mattino. Si faceva mandare anche tutte le foto e le riprese. Anche quando si mise a giocare per strada con dei ragazzini e una donna gli lanciò un secchio d'acqua dal balcone. Non lo aveva riconosciuto». Raramente, però, Moggi si è davvero sorpreso. «Solo una volta l'ho visto veramente scosso: quando scoprì che bel garage di casa si allenava da solo con il suo coach personale, Fernando Signorini, il suo storico preparatore atletico. L'unico che sapeva cosa gli serviva per rendere al meglio, evitandogli soprattutto gli esercizi che Maradona riteneva inutili e noiosi. Ma di quegli allenamenti misteriosi ed esclusivi nella palestra sotto casa, vicino al garage accanto al parco delle sue numerose auto, la società calcistica non sapeva». In locali dove Diego passava le sue notti brave e quelle galanti sono quasi del tutto scomparsi. Non c'è più La Sacrestia a via Orazio e nemmeno La Stangata a via Martucci. «Ma allora questi e altri luoghi erano il suo campo di gioco notturno. Finite le feste e le notti folli approdava al suo Paradiso di via Catullo dove i camerieri e i dipendenti alla reception lo accoglievano come uno di famiglia e dove noi, che non lo mollavamo mai, ci impadronivamo dei suoi segreti».

«Ne hanno dette di tutti i colori su quel sorpasso del Milan sul Napoli ma io posso dire con certezza che Diego non avrebbe trattato con nessuno per una sconfitta. Perché il calcio era la sua parte migliore, non avrebbe accettato mai una cosa del genere». Il mondo che lo circondava, secondo la spia, voleva solo approfittarsi di lui. Un mondo di insospettabili. Pronti a qualsiasi cosa per assecondarlo. In ogni sua richiesta.

«La mia speranza è che quando portavo le prove che cercavano delle sue notti insonni, loro intervenissero. E invece ricordo Luciano Moggi che ascoltava i miei report in silenzio e poi nulla cambiava. Non capivo il perché, poi col passare del tempo l'ho capito: Diego non avrebbe accettato intromissioni nella sua vita. Da nessuno. Pure se il Napoli gli avesse sbattuto in faccia le prove di quello che faceva lui non avrebbe cambiato di una virgola il suo modo di fare, i cuoi comportamenti». E Antonino Restino conclude: «Lo pedinavo per lavoro, ma io ero incantato da lui. Ne ero affascinato, perché per il Napoli avrei fatto qualsiasi cosa. Provai molte volte la tentazione di uscire dal mio ruolo e di avvicinarmi a lui per metterlo in guardia, da amico, per dirgli di mandare al diavolo quell'esercito di approfittatori, curiosi, spacciatori e puttane che lo assediava e ritrovare la natura solare, vitale, generosa, che era l'essenza del suo talento. Se tornassi indietro? Oggi quel consiglio glielo darei. E al diavolo l'indagine. Ora sogno di conoscerlo. Anche se in pochi lo conoscono più di me».
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