Napoli, agente eroe ucciso: lo stop del Riesame, impronte non chiare

Ucciso nel tentativo di sventare una rapina a mano armata

Napoli, agente eroe ucciso: lo stop del Riesame, impronte non chiare
Napoli, agente eroe ucciso: lo stop del Riesame, impronte non chiare
di Leandro Del Gaudio
Mercoledì 13 Marzo 2024, 23:48 - Ultimo agg. 14 Marzo, 14:27
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Non è univoca l’identificazione dei due indagati. L’analisi delle impronte digitali è chiara fino a un certo punto, ma non sembra sgomberare il campo da dubbi residui. Poi c’è la questione delle esigenze cautelari, che potrebbero essere venute meno a distanza di tanti anni rispetto ai fatti. Dovrebbero essere queste le motivazioni che hanno spinto i giudici del Tribunale del Riesame a scarcerare uno dei due indagati per l’omicidio di Domenico Attianese, il sovrintendente di polizia eroe, ucciso nel tentativo di sventare una rapina a mano armata in una gioielleria di Pianura. Trentotto anni dopo quel delitto, lo scenario giudiziario torna ad essere controverso. Sono stati i giudici del Riesame a scarcerare Salvatore Allard, che era finito in cella all’inizio dello scorso mese, con l’accusa di essere l’esecutore materiale dell’omicidio del poliziotto eroe. In sintesi, il Riesame potrebbe aver rivalutato gli stessi punti su cui il gip Luca Della Ragione aveva accolto le conclusioni della Procura: parliamo dell’analisi delle impronte digitali rinvenute ed evidenziate in quel maledetto giorno di 38 anni fa (era il 4 dicembre del 1986).

Se per il gip, gli esiti delle indagini della scientifica non lasciavano spazio a dubbi, al punto tale da firmare gli arresti in cella per Allard e per il suo presunto complice Giovanni Rendina, diversa è la valutazione del collegio di giudici. Due giorni fa si è infatti celebrata l’udienza di revoca della misura cautelare per Allard, alla luce delle conclusioni difensive dell’avvocato Domenico Dello Iacono, che ha battuto in particolare sulla questione delle impronte digitali.

In sintesi, non ci sarebbe corrispondenza integrale tra l’impronta “esaltata” e acquisita nelle indagini del 1986 e il tracciato digitale dell’indagato.

Questione di “minuzie”, per usare l’espressione tecnica che fa riferimento alla parte terminale di una impronta digitale. Un dato su cui i giudici probabilmente non se la sono sentita di confermare in toto le indagini della Procura, di fronte alla percezione di un dubbio residuale. A questo punto la lancetta dell’orologio rischia di tornare indietro a 38 anni fa, anche alla luce del fatto che il secondo indagato, che finora non ha fatto appello al Riesame, potrebbe chiedere la revoca degli arresti. Inchiesta in corso, la Procura non si ferma. Lette le motivazioni, si tratterà di capire su cosa fa leva il ragionamento dei giudici.

Poi riflettere sui prossimi step investigativi. Inchiesta condotta dal pm Maurizio De Marco, sotto il coordinamento del procuratore aggiunto Pierpaolo Filippelli, nel corso dell’udienza al Riesame era stata depositata una consulenza da parte del gabinetto di scientifica della direzione centrale anticrimine della polizia di Stato. Stando al testo depositato, la valutazione delle impronte digitali è stato ottenuto grazie «alle evoluzioni tecnologiche dell’applicativo Apfis disponibili alla sezione identità giudiziaria».

Un caso aperto, si attendono sviluppi, anche alla luce della testimonianza resa lo scorso gennaio dalla figlia del sovrintendente ucciso, che ha avuto la forza di immagazzinare dei dati decisivi per riaprire indagini a distanza di 38 anni. Quella mattina a Pianura furono in tre ad entrare in azione. Secondo l’accusa, il primo a fare ingresso nella gioielleria fu un uomo al momento rimasto senza nome. Era vestito in modo elegante, sembrava un cittadino intenzionato a fare acquisti di Natale. Abito scuro, toni apparentemente eleganti, si fece aprire la porta blindata, per poi fare leva su un espediente. Lasciò la porta aperta, per poi dirigersi al bancone, fingendo l’acquisto di orecchini. Poi, l’irruzione dei due banditi. I gestori della gioielleria furono immobilizzati, ma a lanciare l’allarme ci pensò la figlia del poliziotto, in quel momento assieme alla figlia dei titolari del negozio.

Domenico “Mimmo” Attianese intervenne, ma fu aggredito da tre uomini, uno dei quali - secondo l’accusa, si trattava di Allard - non esitò a sparargli alla nuca. Due indagati, un terzo nome tutto da identificare, in un’indagine che ora fa i conti con la rivalutazione dei giudici. Fatto sta che nel corso degli anni, i due indagati per l’omicidio del sovrintendente hanno condotto vite differenti. Allard è stato coinvolto in altre vicende penali, quasi sempre legate a crimini predatori. Entrambi gli indagati hanno sempre dichiarato di essere estranei alla storia della rapina e al delitto di un uomo delle istituzioni. Una versione che incassa, almeno per ora, un provvedimento favorevole da parte dei giudici del Riesame.

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